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Mangia come parli.

Mangia come parli. Com'è cambiato il vocabolario del cibo.

20 novembre 2014 / Libri

Cinzia Scaffidi, «Mangia come Parli. Com'è cambiato il vocabolario del cibo, Bra, Slow Food Editore, 2014, pp.191
«Non capisco di che cosa devo gloriarmi» disse Alice. Humpty Dumpty fece un sorriso sprezzante. «Non lo capisci, perché non te l’ho ancora spiegato. Vuol dire che è un argomento che ti stende a terra!» «Ma “gloriarsi” non vuol dire un “argomento che ti stende a terra”» obiettò Alice. «Quando io uso una parola» disse Humpty Dumpty con un certo sdegno, «quella significa ciò che io voglio che significhi – né più né meno». «La questione è» disse Alice, «se lei può costringere le parole a significare così tante cose diverse». «La questione è» replicò Humpty Dumpty, «chi è che comanda – ecco tutto».    Lewis Carroll, Attraverso lo Specchio


Mangia come parlaVi presento un libro sul cibo. Quando l’ho scoperto in libreria, il titolo mi sembrava strano: Mangia come Parli. Com’è cambiato il vocabolario del cibo. «Ma come», pensavo, «il programma televisivo della Cucciari in carta stampata?» E poi «c’è forse qualcuno che ha ribattezzato la pizza margherita, la bistecca fiorentina o mi sono perso qualche parola alla moda non seguendo MasterChef o Hell’s Kitchen?» Sulla copertina c’era il nome di Cinzia Scaffidi, docente di interdisciplinarità della Gastronomia presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, cioè quella della Slow Food, il che mi ha subito rassicurato che si parlasse di cibo in modo serio. Qualche dubbio comunque rimaneva, perché una volta si diceva «parla come mangi» cioè quando si voleva dire ad un'altra persona di parlare in modo più semplice, ma oggigiorno, ai tempi dei 140 caratteri di twitter e di sms tipo «ti amo xke 6 speciale», che senso ha un titolo come «mangia come parli»? Questo libro non ci inviterà forse a mangiare hamburger e patate fritte?

Niente di tutto questo, tranquilli, vediamo di che cosa si tratta. Il tema del libro sono i cambiamenti che il nostro lessico del cibo ha subìto negli ultimi cinquanta, sessant’anni. Sono decenni decisivi per l’Italia in quanto comprendono la fase dell’industrializzazione ed urbanizzazione del Bel Paese e la conseguente nascita dell’industria del cibo. Questi cambiamenti hanno lasciato tracce, nel paesaggio, nei nostri comportamenti, nelle nostre abitudini come nell’uso delle parole. Per questo motivo, l’idea dell’autrice di seguire con cura la “storia delle parole, la loro evoluzione, il loro comparire, scomparire, cambiare di segno o di senso”, la porta subito oltre i limiti di un puro racconto di come è cambiato il vocabolario del cibo e trasforma il suo saggio in un’indagine sociologica che spiega il perché di tutti questi cambiamenti.

Certo, oggi i cambiamenti vanno sempre bene. Nelle società moderne sono la regola, se non il principio, e pertanto un saggio che solo li seguisse, anche con una bella spiegazione delle loro cause principali, rimarrebbe ancora un po’ ingenuo, un po’ troppo mainstream. Perché la vera domanda è, chi è l’autore di questi cambiamenti, lo siamo noi come singoli cittadini o ci viene imposto dall’alto? Come dice Humpty Dumpty nel romanzo di Lewis Carroll «la questione è, chi è che comanda». E’ qui che casca l’asino e Cinzia Scaffidi ne è ben consapevole: “Quello che ci stiamo trovando a vivere è un processo di colonizzazione culturale ed economica con una facciata molto amichevole, ma una sostanza molto violenta (…) Dobbiamo (…) sorvegliare affinché non ci rubino le parole. Perché se ce le rubano ci rubano la possibilità di dire e di capire.” 

VanigliaLo dico subito, il libro è un prezioso contributo per fare sì che questo non accada. L’analisi accurata dell’autrice non solo affila la nostra sensibilità nell’uso delle parole ma ci permette anche di capire alcuni meccanismi economici e sociali della società in cui viviamo. Un esempio: sapevate che la dicitura «aroma naturale di vaniglia», che potete trovare sull’etichetta di una confezione di biscotti non si riferisce minimamente alla vaniglia vera, che è il frutto di una pianta, ma alla “vanillina sintetica” ottenuta “a partire dagli scarti solforici dell’industria della carta”? Se invece, spiega la Scaffidi, tra gli ingredienti troviamo scritto «essenza di vaniglia» o «estratto naturale di vaniglia», allora è quella autentica”. Come si vede sono differenze sofisticate di non poco conto, studiate appositamente dai legali dell’industria del cibo per venderci una cosa di poco valore al posto di un’altra, molto più preziosa.

Il libro analizza, spiega, illustra connessioni mai sospettate tra vari fenomeni e parole, e proseguendo con la lettura ci si rende conto come tutte le parole rimandino ad altre, tutte intrecciate tra loro in una immensa rete che costruiamo ogni giorno quando parliamo, pensiamo e lavoriamo. Questa rete non è nient’altro che la vita e il modo in cui la viviamo. Pertanto si può iniziare la lettura con una qualsiasi delle 100 parole chiave, per arrivare poi ad altre e soprattutto a parole che nel libro non ci sono. L’autrice ci mette solo su alcune tracce ma poi spetta a noi seguirne altre.

SpaghettiUna parola comunque mi sembra più centrale delle altre, il vero cuore dell’indagine, e cioè il lemma complessità. Vi riporto un passo interessante: “un piatto di spaghetti si riferisce a un agglomerato di sistemi viventi esattamente quanto una foresta pluviale o una coppia di aquile reali. Il campo coltivato per produrre il grano che è stato trasformato in farina è un sistema vivente che a sua volta interviene su altri sistemi viventi (il suolo, l’acqua e dunque il mare, le risorse di combustibili fossili del pianeta, il mugnaio…); la farina a sua volta è stata trasportata (con emissioni di anidride carbonica e interventi su altri sistemi viventi) e trasformata (…) attraversando aree geografiche differenti e intervenendo su altri sistemi. I pomodori hanno fatto lo stesso, e così l’olio o le cipolle del soffritto con cui è stato cucinato il sugo. E tutti – grano, pomodoro, olio, cipolle – hanno avuto a che fare con comunità di persone che sono individualmente sistemi complessi e che danno vita – come gruppo – a un ulteriore sistema complesso. E quel piatto di pasta nutrirà un altro sistema complesso. Come influirà quel piatto di spaghetti sulla salute dei tonni rossi, o su quella dei lombrichi, o sul clima?”.

Buona lettura a tutti.

 

© Foto copertina: Slow Food Editore,