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Daniele Cernilli, «I Racconti e i Consigli di Doctor Wine», Torino, Einaudi, 2014, pp.335

Una volta, un mio amico perdutamente bibliofilo, mi diceva: “I libri si devono possedere e ammirarli, leggerli è secondario”.  Per quanto riguarda il nuovo libro di Daniele Cernilli vi consiglio tutte e tre le cose. Se poi vi capita, come è successo a me, che il testo vi incita a riflettere su alcune cose vinose e avete voglia di rileggerlo una seconda volta, ancora meglio. Vi racconto perché. 

Prima di tutto si tratta di un libro profondamente democratico, scritto con un approccio anti elitario, fenomeno non frequente nel mondo della letteratura vinicola. Un libro, diciamolo pure con le parole del suo autore, che “consiglia e incuriosisce, ma non spaventa la gente con scelte troppo lontane dal comune sentire.” Ma andiamo per ordine. Dopo il successo del suo «Memorie di un assaggiatore di vini» uscito nel 2006, l’autore dice di voler “riprovarci”. A ben vedere, però, la faccenda non è così semplice perché da allora, come sottolinea lo stesso Cernilli, “sono cambiate molte cose” e il libro riflette anche questi cambiamenti. Lo spartiacque biografico consiste nell’uscita dell’autore dal «Gambero Rosso», guida di vini autorevole, di cui ha inventato il sistema di valutazione con tre bicchieri, e la sua successiva trasformazione in »Doctor Wine», diventando in brevissimo tempo uno dei wine blogger più influenti al mondo. I nuovi testi di conseguenza sono più brevi, più “post” ancora meno testi da manuale rispetto alle «Memorie» ma non per questo meno incisivi. Anzi, adesso sono - perdonatemi la metafora - più simili ai passiti e qualche volta si riscontra anche la raffinatezza di un tocco di botrytis, che, come ben sapete, tocca a pochi. Roba da grand cru insomma.

Daniele Cernilli Doctor Wine

Il libro si divide in quattro parti. La prima parte parla di uomini e donne del vino e ci ritorno subito. La seconda invece ci racconta di alcuni incontri ancora più personali, di cui quello con Carlo Petrini, fondatore della Slow Food, è forse il più intimo e per questo anche il più commovente. La terza è dedicata ai temi più o meno tecnici della viticoltura italiana mentre la quarta presenta di nuovo note di assaggio ma ormai basate su più di trent’anni di esperienza e molto più ampia rispetto al primo libro. Decidete voi che parte del libro vi pare la più riuscita ma io vi confesso subito che ci vuole un’anima forte per chi legge la prima. Perché? Ma insomma, non aver assaggiato quel Brunello di Montalcino Riserva annata 1964 di Biondi Santi descritto nel libro è già triste assai, come è un vero peccato non potersi permettere una cena da Pinchiorri  ma non aver mai incontrato tutti quegli uomini e donne del vino italiano di cui parla Cernilli come se si trattasse dei vicini di casa, un giorno potrebbe rivelarsi la fonte di una melancolia non facile da tenere sotto controllo. Alcuni esempi: Gino Veronelli, Angelo Gaia, Piero Antinori, Giacomo Tachis, Renzo Cotarella, Riccardo Cotarella, Josko Gravner, Elio Altare, Giuseppe Mazzacolin, Franco Biondi Santi, Gianni Zonin, Sergio Manetti … vi risparmio gli altri, ormai siete avvertiti.

 

Cernilli racconti di Doctor Wine

Per il lettore immerso da più tempo nelle faccende vinose italiane, la lettura della terza parte de libro, quella più tecnica, susciterà probabilmente il più grande interesse. Vi ricordate che avevo detto che questo libro è “democratico”? Bene, allora non aspettatevi tecnicismi esagerati o discorsi per i soli addetti ai lavori. Il “vinese” non lo trovate nemmeno lì, come non ci troverete opinioni forti. Per l’autore “non esiste un solo vino e un solo modo di fare vino”. Cernilli, proveniente da una formazione filosofica, cita Platone per spiegare il suo metodo di critica enologica, “perché il vino, come l’«essere» di Platone, si manifesta in molti modi”. Considerando però che secondo Platone alla verità ci arrivano solo in pochi – un pensiero lontano dalle convinzioni del nostro autore – propongo un altro ancoraggio filosofico: Il pluriprospettivismo della «Genealogia della Morale» di Nietzsche. Solo guardando una cosa da più prospettive possibili, con più “occhi” come diceva il filosofo tedesco, si fa una critica onesta “senza scomuniche o anatemi, ma solo con l’ analisi”. Parole di Cernilli ma pensiero di Nietzsche. Prima di perdermi in escursioni accademiche vi faccio alcuni esempi. Lieviti autoctoni: chi non vuole farne una religione laica, consiglia l’autore, dovrebbe considerare il contesto vitivinicolo che suggerisce strategie diverse per ogni specifica zona. I lieviti naturali vanno bene per Josko Gravner in Friuli, spiega Cernilli,  ma non vanno bene per Gianfranco Fino, viticoltore nella zona di Manduria. “Perché se hai uve così zuccherine, tanto che possono dar vita a vini da sedici gradi e più, se ti si blocca la fermentazione è un disastro, e con i lieviti selvaggi può accadere molto più facilmente.” L’uso del legno. Altro campo dove Doctor Wine consiglia una visione più ampia. “Il legno nel vino”, cioè i chips al posto dei fusti piccoli, per intenderci, è “la via che detipicizza, che rende simili i sapori, che annulla le differenze e guarda a un mercato sempre più globale e massificato” mentre il “vino nel legno” è “la sfida della qualità, il modo per rendere i nostri vini comprensibili e vincenti nella fascia alta del mercato, senza esagerazioni presuntuose. Potrà renderli più «internazionali» senza far perdere le radici più autentiche”.

Mi fermo qui. Solo un’ultima cosa. Nel mondo dei libri come in quello dei vini alla fine si devono tirare le somme. Nel prologo del libro l’autore stesso ci dà il criterio con cui esso vuole essere valutato: “ciò che si scrive dovrebbe essere prima comprensibile, per poi risultare piacevole e qualche volta divertente.” Che dire,  bersaglio centrato. Tre bicchieri.

Ulrich Kohlmann